Moby Dick - Herman Melville

La nostra recensione

Non è riuscito ad entusiasmare pienamente tutte le lettrici e i lettori dei due gruppi di lettura della biblioteca di Martellago questo classico della narrativa americana. Sulla scrittura e sullo stile il giudizio è stato unanime, riconoscendone la grandezza sia per la ricchezza e raffinatezza della lingua che per la molteplicità di generi inseriti nell'opera, in un alternarsi di prosa narrativa, dissertazione scientifica, saggio filosofico, trattato teologico, dramma teatrale shakespeariano. Eppure proprio per questo ad alcuni è riuscito faticoso arrivare alla fine per i continui rimandi culturali, mitologici e biblici e i tecnicismi sulla navigazione e la caccia in mare. La vicenda vera e propria procede molto lentamente, i due protagonisti e avversari compaiono rispettivamente solo nel cap. 29 (Achab) e 84 (Moby Dick), ma l'accelerazione e il compimento si giocano tutti negli ultimi tre capitoli in cui persino la scrittura diventa concitata. Celebrati da tutti i capitoli 42 "La bianchezza della balena" e 132 "La sinfonia". Molte le riflessioni e gli interrogativi che il libro ha suscitato, tutti relativi ai suoi significati reconditi, alle metafore contenute e alle intenzioni del suo autore. Non tutto è risultato perfettamente comprensibile nel testo. Non mancano le parti ironiche e persino umoristiche in un testo profondamente tragico sull'ossessione di un uomo, il capitano Achab, e l'inevitabilità del suo destino in cui finisce per trascinare anche tutta la ciurma. Abbiamo tutti apprezzato la descrizione dei singoli marinai a bordo, in particolare l'umanità e il raziocinio di Starbuck, l'unico che prova ad opporsi alla follia di Achab e all'annichilimento della ragione che porterà tutti alla morte . Un trattato di psicologia, uno sguardo cupo sull'insondabilità dell'animo umano e sul suo lato oscuro. Si ha l'impressione che tutti i personaggi che decidono di prendere il mare abbiano dei demoni da placare o da assecondare. Non sono mancati i commenti ambientalisti, pur nella consapevolezza che a metà Ottocento non poteva esserci alcuna sensibilità in tal senso. Resta il fatto che la balena bianca è la vera e unica vittima dell'accanimento di un uomo per il quale il lettore - giustamente - non prova alcuna pietà o empatia. Rimane il dubbio se considerarlo un romanzo d'avventura a tutti gli effetti: in fondo il viaggio per mare è solo il pretesto per raccontare un profondo malessere interiore e per lanciare uno sguardo su un'umanità schiava di un'insensata bramosia. Sottostimato dai contemporanei di Melville, il libro fu riscoperto grazie allo scrittore R.L. Stevenson e al declino del positivismo e del verismo, con l'affermarsi del romanzo di fantasia. Ci ha colpito la capacità di riflettere dell'autore, un uomo di quel tempo che tuttavia dubita di tutto, instillando nel lettore la certezza che non vi siano certezze. Molti lettori e lettrici hanno dichiarato di essere stati contenti di aver avuto l'occasione di leggerlo, altrimenti non l'avrebbero mai fatto senza il coinvolgimento del Gruppo. Altri si sono ripromessi di riprenderlo o finirlo con più tempo e calma. Per qualcun altro che al contrario aveva riposto sul libro grandi aspettative la lettura si è rivelata un po' deludente.