I doni della vita - Irène Némirovsky

La nostra recensione

Giudizio quasi unanime da parte delle lettrici del Gruppo di Lettura. Una scrittura eccezionale per un romanzo purtroppo e inaspettatamente così attuale da renderne difficile la lettura perché agli eventi bellici descritti si sovrapponevano le immagini e la consapevolezza del conflitto in Ucraina. La vicenda famigliare degli Hardelot si snoda a partire dai primi del ‘900 per concludersi con l’occupazione tedesca nel 1940. Agnes e Pierre fanno una scelta di vita molto coraggiosa, rinunciando ai beni di famiglia e mettendo al primo posto il loro amore che rimarrà inalterato negli anni, regalando al lettore una luce di speranza anche nel mezzo dell’occupazione nazista. Agnès infatti, dopo aver aiutato la nuora Rose a fuggire a Sud e a far nascere il bambino, torna a Saint Elme con l’unico desiderio di ritrovare il marito vivo e di concludere la loro vita insieme. Un inno all’Amore che tutto vince, pur minacciato dai tragici avvenimenti politici e sociali che la Nemirovsky descrive con grande precisione. La scrittura è raffinata, elegante e sobria, senza mai scadere in dettagli truci e sanguinari di cui non c’è affatto necessità per immaginare la drammaticità degli eventi. Tutti i personaggi sono tratteggiati con nitidezza e acume: la madre di Agnes che con astuta intraprendenza spinge gli Hardelot ad acconsentire al matrimonio tra la figlia e Pierre, per esempio. Ma anche il rapporto conflittuale tra Agnese e Rose è analizzato con cura mettendo in luce i sentimenti di gelosia tra nuora e suocera. Difficile non accostare la situazione degli abitanti di Saint Elme costretti all’esodo a quella del popolo ucraino. Qualcuno ha sottolineato l’attaccamento alla Roba, di verghiana memoria, di chi non vuole lasciare il paese per difendere ciò che possiede anche a costo della vita, come il nonno e patriarca della famiglia. Gli Hardelot però svolgono un ruolo fondamentale per l’intera comunità di cui si sentono responsabili e il lascito morale a Pierre è più importante dalla Cartiera stessa perché è la posizione che il nonno e il nipote scelgono di occupare a renderli signori indiscussi del villaggio, in grado di condurre e rassicurare gli abitanti. Nel romanzo si evince una dimensione del tempo della vita ben diversa e molto più contratta di quella attuale: Pierre ha 54 anni ed è già vecchio e fragile. La giovinezza è il momento in cui tutto si concentra e viene vissuto, soprattutto nel periodo storico descritto, tra un conflitto e l’altro, quando sembra esserci una maggiore spinta all’azione e al compimento di quelle tappe che segnano l’esistenza umana. Il romanzo ha condotto ad una riflessione: il potere della cultura e della scrittura sembrano essere una garanzia di equilibrio per l’autrice, pur in mezzo alla guerra, all’invasione, al pericolo al quale lei stessa è esposta in quanto ebrea. Possono essere questi dunque i baluardi della democrazia, le armi con cui combattere le dittature? È doveroso ribadire il ruolo dello Studio e della Cultura, soprattutto per le donne dato che – per parafrasare un titolo della scrittrice ucraina e Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksiev - “La guerra non ha il volto di donna” ?