Seul - Notti invisibili, giorni sconosciuti

Notti invisibili, giorni sconosciuti di Bae Suah

Questa settimana abbandoniamo sciarpe e cappotti e prepariamo la nostra #ValigiadelLettore con leggeri abiti estivi, pronti a sbarcare nel caldo torrido dell’estate di Seul. Senza dubbio molti sono i luoghi da visitare in città, edifici che tolgono il fiato come i palazzi reali, i templi e i parchi con bellezze naturali per noi inconsuete e entusiasmanti ma quello su cui ci focalizziamo stavolta è un piccolo teatro, non famoso o elegante ma sicuramente esclusivo in quanto è l’unico teatro sonoro per non vedenti in città.

È qui che da due anni lavora Ayami, giovane attrice che, oltre alla lettura dei copioni per il suo pubblico, ricopre anche il ruolo di impiegata tuttofare, segretaria e addetta al botteghino: situazione che, come ben si sa, condivide con tanti colleghi di ogni parte del mondo, visto che spesso chi vive per l’arte deve forzatamente imparare quella di arrangiarsi, se vuole che “lo show possa andare avanti”. Il teatro è una religione che, tranne poche fortunate eccezioni, ha sempre chiesto dedizione totale ai suoi adepti ma mai come in questo periodo di pandemia, con chiusure prolungate, spettatori ridotti, finanziamenti all’osso, è stato sull’orlo dell’incertezza se non dell’abisso.

E anche il futuro del nostro teatro coreano è ormai segnato, chiude i battenti e nell’ultima notte una strana atmosfera lo pervade, inspiegabili interferenze fanno accendere e spegnere una radio e le luci, un uomo si dibatte inquietante e minaccioso contro la porta chiusa. In questa realtà sempre più allucinata Ayami vaga per le strade, prima insieme al suo ex capo, poi con un poeta straniero al quale fa da guida per la metropoli alla ricerca di un’amica scomparsa, mentre tutto intorno a loro continua a sfaldarsi in un groviglio torrido e delirante che sembra aver perso i propri margini e il contorno preciso delle cose. Le percezioni dei protagonisti si reggono su un sottilissimo filo, quello che separa la realtà dal sogno e anche il lettore, una volta entrato nel vortice onirico, è pronto ad accettarne tutte le traiettorie labirintiche in una Seul in cui sembra predominare una morte stagnante e decadente, persa nel tempo, e in cui gli stessi personaggi sembrano a loro volta deperire e lentamente svanire. Sembrerebbe quindi un sogno, o un incubo, di morte e non a caso, troviamo vari riferimenti al colore bianco, in molte culture orientali tradizionalmente associato al lutto, un vestito, un autobus e perfino un corvo, bianchi: per contrapposizione è però anche un sogno di vita, la comunicazione tra mondi che si intravedono, ma non riescono a toccarsi. In un’epoca in cui la cultura coreana acquista una visibilità sempre maggiore (si pensi al successo di un film come Parasite o alle scorribande mediatiche del fenomeno K-pop), questo allucinante viaggio al termine della notte aggiunge un tassello alla conoscenza di una storia e di una società sempre più affascinanti e complesse.

In omaggio all’elemento costantemente presente, il bianco, mettiamo anche noi in valigia una sciarpa leggera di questo colore, perfetta per ripararsi sia dai raggi di un sole implacabile dei giorni che dall’umidità dell’afa delle notti.