Auschwitz - Andremo in città

Andremo in città di Edith Bruck

La nostra odierna #ValigiadelLettore si trova a girovagare in una molteplice serie di luoghi, tutti tristi punti di transito di quello che fu il viaggio più atroce che la mente umana abbia potuto concepire e che tanti, troppi esseri umani furono costretti a intraprendere. Abbiamo modo di percorrerlo, per il momento solo in una modalità letteraria, dalla quale tuttavia chissà non nascano suggestioni per un vero e proprio itinerario. Il tragitto dei protagonisti parte da diverse città e nazioni ma una sola è la stazione di arrivo e cioè la fine del loro percorso di libertà, dignità, umanità, stazioni delle quali Auschwitz rappresenta il simbolo più oscuro e tragicamente noto.

Il racconto che dà il titolo alla raccolta compone assieme ad altre storie un libro poetico ma al tempo stesso permeato dall'angoscia per la tragedia incombente che travolge senza remissione la realtà dei personaggi. Lenke descrive al fratellino cieco il mondo che li circonda e gli promette ogni volta che un giorno un treno li porterà in città, dove un’operazione gli potrà ridare la vista: lo prenderanno un treno ma non sarà certo quello della loro speranza, quella speranza che la ragazzina cercherà con tutte le sue forze di infondere fino all’ultimo al bambino. C’è la bambina gettata dai genitori dal treno dei deportati ebrei in un estremo atto d’amore che consente alla sua esistenza di cambiare per sempre e c’è la donna che, dopo la guerra, arriva nella terra della speranza, Israele. Perché qualcuno dei protagonisti è sopravvissuto anche se va ricordato che tale condizione, apparentemente privilegiata, è stata spesso motivo di un tormento emotivo ed interiore che non tutti i “fortunati” sono riusciti a superare. Il senso di colpa per essere sopravvissuti, la sensazione di rifiuto o imbarazzo del resto di un mondo nel quale si aggiravano, ombre silenziose ma testimoni urlanti dell’indifferenza o della speculazione, la convinzione di non poter appartenere mai più a nessun luogo e a nessuna realtà, hanno devastato il loro presente rendendo molte volte impossibile un futuro. Come in Primo Levi, cosi in Edith Bruck, la memoria si fa letteratura e la scrittura diventa mezzo per testimoniare al mondo contemporaneo una ferocia umana difficile da raccontare ma, mentre Levi appartiene ai superstiti tormentati, le storie di Edith Bruck sanno sì di disperazione ma anche di speranza, della necessità di vivere come persone nonostante tanto orrore: l’umanità viene straziata dal nazismo, ma queste pagine ci sussurrano che la vita si appiglia ad ogni angolo, cercando in ogni minimo segnale conforto e riparo.

È certo un viaggio che non infonde, come in genere è compito dei viaggi, distrazione o benessere ma è un viaggio che chiunque si voglia fregiare del titolo di “essere umano” dovrebbe affrontare almeno una volta, dato che il ritorno emotivo ricevuto evolve senza dubbio nella più forte garanzia contro quegli embrioni di idee drammaticamente simili, che purtroppo ancora oggi sussultano nella società e che non si devono trascurare. Perché, ricordiamolo sempre, “Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

In valigia mettiamo un piccolo registratore portatile, per fissare in tempo reale i turbamenti che saremo inevitabilmente costretti ad affrontare, prima che sbiadiscano in un quotidiano indaffarato e indifferente.