Così ha inizio il male - Javier Marías

La nostra recensione

Ambientato nella Spagna post franchista, il libro racconta in modo ossessivo e inquisitorio la storia di una coppia, quella del regista Muriel e di Beatriz, descritta in terza persona dal giovane Juan De Vere, assistente e uomo tuttofare. La cattiveria e il disprezzo con cui Muriel tratta la moglie spingono il giovane ad indagarne le ragioni, tra informazioni carpite attraverso i pedinamenti di lei, le domande poste direttamente a Eduardo e le situazioni a cui assiste suo malgrado. Il titolo è tratto da un verso dell'Amleto Thus bad begins and worse remains behind (Così ha inizio il male e il peggio è alle spalle). Filo conduttore del romanzo di Marias è l'inganno che permea sia la storia famigliare dei protagonisti che gli eventi storici della Spagna appena uscita dalla feroce dittatura franchista. Il mondo privato e quello pubblico corrono parallelamente in un intreccio che la maggior parte dei lettori/lettrici ha trovato troppo prolisso e ripetitivo, rendendo la lettura faticosa a causa del ritmo spezzato continuamente. La scrittura e lo stile sono stati molto apprezzati ma il protrarsi della vicenda che si snoda solo negli ultimi capitoli ha affievolito l'entusiasmo di quasi tutti i presenti, salvo poche eccezioni, per i quali una maggiore snellezza e brevità avrebbero giovato alla narrazione. Di parere opposto alcune lettrici che hanno elogiato il romanzo nella sua interezza e lo stile narrativo dello scrittore spagnolo. Il grande pregio dell'opera è la capacità di Marias di sviscerare il Male, quello privato di Muriel nei confronti di Beatriz e quello pubblico ad opera di tutti i collaborazionisti del regime, come il dottor Van Vechten. Eduardo è un personaggio spregevole, sapientemente descritto, che rifiuta di assumersi la responsabilità delle proprie scelte addossando alla moglie la colpa di averlo ingannato, di aver costruito un matrimonio sulla menzogna. Avrebbe preferito non sapere, rimanere beatamente ignaro per non disconoscere la propria vita e rinnegare così la sua storia personale. Allo stesso modo, la Spagna democratica rinnega i crimini commessi durante la dittatura, regalando l'impunità a tutti in un inganno collettivo che lo stesso Eduardo convalida chiedendo a Juan di smettere di indagare su Van Vechten. Prevale dunque la convenienza, vengono negate le convinzioni e le responsabilità e risulta più facile perdonare un crimine collettivo, seppur orribile, piuttosto che perdonare una bazzecola, come la definisce Beatriz. Muriel preferisce vivere nel male per evitare il peggio, ma in questo modo si rende complice non solo dell'omissione della verità ma anche del perpetuarsi del Male, sia nella sua vita privata che nella Storia. L'umiliazione di Beatriz, la sua spasmodica e incessante richiesta di amore, la rendono agli occhi del lettore (attraverso lo sguardo di De Vere) meno colpevole di quanto non risulti essere Eduardo con il suo abietto e sinistro desiderio di vendetta. Se nella macrostoria il Tempo disinnesca quella tensione che vorrebbe una ferma condanna delle atrocità commesse, nella microstoria il Tempo non basta a mitigare l'odio di Muriel che solo con la morte di Beatriz riesce a placarsi. Juan De Vere finisce per raccogliere l'eredità di Eduardo. Non solo infatti ne sposa la figlia, ma fonda a sua volta il matrimonio su un consapevole inganno, convinto com'è che Susana abbia assistito al suo rapporto sessuale con Beatriz. Susana però, a differenza di sua madre, preferisce tacere e Juan rimane così volutamente appeso al dubbio. "Niente parole" è l'epilogo del romanzo. E non perché le parole siano inutili ma perché si preferisce non sapere, negare la verità.