La bellezza delle cose fragili - Taiye Selasi

La nostra recensione

Tutto il Gruppo di lettura ha riscontrato una difficoltà ad entrare nell'intreccio: le prime cinquanta pagine con Kweku morente, la descrizione della casa in cui sembrano abitare molti fantasmi del passato oltre alla compagna attuale, i salti temporali e geografici hanno dissuaso più di qualcuno che non è riuscito a terminare il romanzo. In particolare lo sguardo fuori campo di un ipotetico cameraman ha sconcertato un po' tutti, prima di comprendere che si tratta di uno sguardo esterno, una sorta di spettatore che assiste alla vicenda e che potrebbe essere lo sguardo colpevolizzante e giudicante della società. Quella stessa società dalla quale Kweku ha sempre cercato di farsi accettare, rincorrendo il successo per essere pari agli altri ma anche per giustificare la sua migrazione, per riscattarsi grazie allo studio e alla carriera. Dopo questa prima parte la narrazione si apre introducendo man mano una famiglia priva di radici, in cui tutti si muovono verso l'eccellenza alternando momenti di piena realizzazione e cadute precipitose. L'unica che sembra non avere doti speciali, causandole un'indicibile sofferenza, è Sadie, il cui legame (soffocante) con la madre sembra essere la sua caratteristica, invidiata dai fratelli e dalla sorella. Al centro della famiglia Fola, una donna che ha rinunciato alla sua stessa carriera per amore del marito e che di fronte all'abbandono reagisce con grande determinazione mettendo in campo tutte le sue risorse ma finendo per trascurare se stessa e soprattutto i figli. Un dolore taciuto e irrisolto segna tutti i componenti di questa famiglia. Dolore che ciascuno esprime a modo suo, senza condividerlo con gli altri, sentendosi ognuno privato e mancante di qualcosa. Una famiglia interamente votata al non-detto, alla negazione. Così Kweku per un anno nasconde il licenziamento, i gemelli nascondono la vergogna della violenza subita, Sadie si esprime solo attraverso la bulimia e Fola nasconde all'interno del suo corpo le sofferenze dei figli che non vuole vedere, tranne somatizzare in quattro punti precisi il loro malessere. Persino Olu, che ha seguito le orme del padre ed è uno stimato chirurgo, nasconde sentimenti ed emozioni alla moglie tenendo dentro di sé un grumo tossico. Con notevole capacità empatica Selasi scandaglia le ragioni di tutti, i torti di ciascuno senza giudicare ma investendo il lettore degli stati d'animo dei personaggi. Tutti perdono in questa vicenda che si legge come un puzzle e che si ricompone solo alla fine, al punto che molte lettrici sono andate a rileggere la prima parte per comprenderla appieno. Quattro sono i temi strettamente intrecciati: amore famiglia sofferenza morte. Si tratta in fondo di temi che caratterizzano qualsiasi vita umana ma il grande merito dell'autrice è quello di usare sapientemente immagini metaforiche e una scrittura pienamente poetica per raccontare l'universalità di esperienze e sentimenti Privati di radici, ossessionati dalla rincorsa al successo, slegati e allontanati dagli altri famigliari, Fola e i suoi figli si ritroveranno al funerale di Kweku, che dopo averli abbandonati sarà l'artefice del loro ritorno a casa. Quella casa che potremmo definire Heimat, luogo dell'anima e degli affetti, che si ricompone per tutti sulla terra dei loro antenati e degli stessi genitori che da lì erano partiti alla volta degli Stati Uniti. In questo senso acquista un significato speciale il particolare delle pantofole smarrite, lasciate da parte e poi ricercate in tutto il romanzo, metafore di una patria perduta e anelata. In parte autobiografico, il romanzo racconta l'universo dei figli degli africani immigrati degli anni Sessanta e Settanta per i quali la scrittrice ha coniato il termine afropolitan.