Lacci - Domenico Starnone

La nostra recensione

Un romanzo a 3 voci quello di Starnone, tre prospettive che quasi lo frammentano in racconti a prima vista distinti (Libri, infatti, li intitola lo scrittore). Senonché tutto man mano si riallaccia e si annoda sottolineando a maggior ragione il significato del titolo così centrato e pertinente. Uno spaccato di vita famigliare in cui solitudine e sofferenza sembrano essere i temi dominanti. Se nel primo libro ci sentiamo fortemente empatici nei confronti di Vanda, moglie abbandonata con due figli ancora piccoli, nei due libri successivi appare chiaro che il ricatto, la manipolazione e la vendetta sono le armi che questa donna ha messo in campo. L’ipocrisia è la caratteristica dominante dei protagonisti: segreti, cose non dette, emozioni non vissute e non riconosciute. Il tutto – a nostro parere – per convenzione, per tenere unita una famiglia e mantenere un’immagine socialmente accettabile, perché il ritorno a casa di Aldo non solo non mette fine al suo amore per Lidia, ma innesca una reazione anche in Vanda che vivrà alcune relazioni extraconiugali. Un’unione quindi che si rivela insana, tenuta insieme da dinamiche brutali e distruttive e in cui i legami diventano lacci che stringono, soffocano, producono inciampi e cadute, come nella bella immagine di copertina. La violenza è tutta psicologica, si gioca su meccanismi subdoli in cui si perde di vista chi è vittima e chi carnefice in quanto tutti sono complici. I due figli subiscono il disagio finché sono bambini prendendo poi le distanze: Sandro passa di donna in donna ma è un padre impeccabile che tiene in piedi tra mille peripezie un rapporto costante con tutti i figli; Anna invece evita qualsiasi relazione stabile e coinvolgimento sentimentale, collezionando più che costruendo rapporti con entrambi i sessi, più cinica e disincantata del fratello. La conclusione sarà un moto di ribellione estrema, che porterà entrambi a devastare l’appartamento dei genitori in un gesto provocatorio e liberatorio, portandosi via anche il Gatto che per tutta la vita ha portato un nome – Labes – dal significato oscuro per tutti tranne che per Aldo che glielo aveva attribuito: distruzione, disastro, rovina. Che senso ha - questa la domanda che il romanzo suscita nel lettore – un matrimonio in cui farsi del male diventa l’occupazione principale? Un matrimonio che diventa una trappola, una vita di coppia vuota e fallimentare tenuta insieme dal risentimento e dalla rabbia, dal ricatto e dalla frustrazione? Né Aldo né Vanda crescono e progrediscono, rimanendo avvinghiati in una spirale di infelicità in cui ci si accontenta e si chiudono i sogni in un cassetto. O in cubo blu. Diversa la figura di Lidia, donna indipendente sia economicamente che psicologicamente, che persegue i suoi obiettivi e vive con pienezza la vita. Un libro amaro e crudo che rivela le bassezze e la meschinità dei suoi protagonisti. Abbiamo apprezzato la scrittura scorrevole, asciutta e diretta e il modo di condurre la vicenda che evolve di libro in libro, di voce in voce, rivelandosi al lettore nella sua compiutezza solo nel finale e lasciandolo appeso a chiedersi: scopriranno i genitori che sono stati i figli a distruggere la casa? O continueranno a immaginare ladri e truffatori nascosti dietro l’angolo pronti a ricattarli per i segreti portati alla luce? E come si modificheranno le relazioni tra tutti loro? E il Gatto??