Il ritorno - Hisham Matar

La nostra recensione

Ha colpito tutti i lettori il libro di Hisham Matar per la cronaca giornalistica che si intreccia alla vicenda personale dell'autore, calata in un contesto storico descritto con grande talento e pathos. Abbiamo constatato la nostra scarsa conoscenza della storia del continente africano e della vergognosa vicenda coloniale italiana, in Libia come in Etiopia. E anche la poca dimestichezza con i fatti più recenti, dal colpo di stato di Gheddafi alla sua caduta. Il libro ci ha quindi portati a riflettere su eventi dei quali non avremmo altrimenti avuto consapevolezza. Una ricostruzione storica profonda e dettagliata, una denuncia della soppressione dei diritti umani perpetrata ad opera di una dittatura sostenuta dal tacito assenso dell'Occidente. Abbiamo apprezzato i legami famigliari raccontati da Matar, contraddistinti da un profondo attaccamento ma anche da grande dignità e rispetto. Dignità che i protagonisti non perdono nemmeno durante la drammatica prigionia, nonostante le torture e le continue minacce di morte, seguitando a far sentire la loro voce, come Jaballa che insistentemente recita poesie dalla sua cella. La difficoltà di abbandonare la ricerca del padre e di giungere alla verità spinge Matar ad incontrare mediatori, figure losche e melliflue, che nulla possono garantire. La trama quindi si infittisce sempre di più celando più che rivelando i dettagli della scomparsa di suo padre. Il desiderio di ritrovarlo e persino quello di dare almeno una risposta definitiva alla domanda che Hisham si pone da oltre vent'anni si scontrano così con la cruda realtà fino alla perdita di ogni speranza. Hisham vive in uno stato di sospensione perché gli è impossibile elaborare quel lutto mai confermato. La famiglia Matar è in fondo una famiglia privilegiata, di grandi possibilità economiche, e ciò nonostante si ritrova a vivere l'orrore della carcerazione e della persecuzione. L'autore ha l'opportunità di raccontare e portare alla luce una tragica realtà a differenza delle migliaia di persone che hanno perso la vita e la libertà in quelle stesse carceri. Un libro che si legge lentamente, per digerire i fatti e per assimilare tutte le ripercussioni emotive che questi innescano nei protagonisti, non ultimo l'impossibilità di dire addio ad una persona cara che sparisce all'improvviso. Matar ci consegna la sua storia che si identifica pienamente con il luogo delle sue origini di cui continuerà a ricordare la luce. Alla fine è proprio la riconquista di una parte di sé e delle proprie radici a trasmettere al lettore un senso di compiutezza. Non c'è un lieto fine, eppure la dolcezza che la famiglia finalmente riunita in Libia comunica al lettore è di grande conforto. I personaggi che più rimangono impressi sono lo zio Mahmoud e il nonno Hamed, vissuto oltre cent'anni e che ha attraversato quindi un secolo di storia. Ci sono infine piaciuti i riferimenti alle opere d'arte che l'autore descrive, il suo modo unico di vivere l'esperienza artistica collegandola alle sue vicende personali e anzi trovando un nesso con quanto gli accade. Una vicenda autobiografica terribile e intensissima che ha coinvolto tutti i lettori grazie ad una scrittura asciutta ma mai impersonale.