Amatissima - Toni Morrison

La nostra recensione

Un libro come carta vetrata che raschia il cuore, sgradevole nell’orrore della vicenda ma bellissimo ed intenso per la struttura, lo stile narrativo, la voce che la Morrison infonde a tutti i personaggi. Storia terribile e disumana, raccontata con un pathos che travolge rendendo spesso difficile proseguire la lettura. La storia di Seth, madre senza più prole, è al centro del romanzo. Imprigionata in un passato di violenze e abusi, totalmente svuotata di qualsiasi identità e personalità è perseguitata dal fantasma di quella bambina che ha ucciso per sottrarla ad un destino già segnato dalla schiavitù. L’infanticidio diventa l’unico atto volontario che Seth può compiere, la sola libera iniziativa di tutta una vita altrimenti fatta di diritti calpestati, di sevizie, di orrori subiti. Una sorta di rivendicazione dunque, tanto più che i figli sono l’unica cosa che possiede. Attorno a lei le altre figure femminili, a loro volta prigioniere e ossessionate dai loro fantasmi: Denver, la bambina invisibile trascurata e quasi dimenticata dalla madre, che non sa nulla del mondo perché sono anni che non esce di casa e non sa se temere o amare Beloved perchè ne percepisce tutta la pericolosità; Baby Suggs, la nonna che un giorno decide di mettersi a letto e di pensare solo ai colori per uscire dal buio e dalla notte in cui è sempre vissuta; Beloved il fantasma che non trova requie, la figlia sempre più esigente e dispotica che tutto vuole fino a distruggere la madre. E poi la figura maschile di Paul D. che arriva a metter fine alla loro prigionia, al loro restare aggrappate ad un passato che le tormenta. Anche lui è stato prigioniero ma è riuscito a scappare e in questa sua fuga riesce a raggiungere Seth riportandola alla realtà e dandole un barlume di speranza in una vita futura. A lui è possibile mostrare le orribili cicatrici, a lui è possibile raccontare e confessare la crudezza di un atto compiuto per amore e che tuttavia rimane il più grave crimine: quello di una madre che uccide un figlio. Con lui le ferite profonde e indelebili che Seth ha sulla schiena si trasformano in qualcosa di vivo: quell’albero che già Amy era riuscita a scorgere alleviando la sofferenza di Seth. Un libro sicuramente cupo, denso e vischioso dal quale tuttavia non ci si può sottrarre perché sappiamo essere la testimonianza di una storia vissuta e anche perché si avverte l’esigenza di capire fino in fondo, di sapere tutta l’atrocità commessa dai nostri simili sui nostri simili. Toni Morrison ha tutte le carte in regola per scrivere un romanzo sociale. Difficile immaginare che una storia di schiavitù possa essere narrata da uno scrittore che non sia afroamericano. La rabbia della scrittrice è distillata, non sovrasta mai la narrazione eppure restituisce un’emozione profonda. Il suo stile è unico, fatto di continui salti temporali e di intrecci su cui torna e ritorna, aggiungendo via via nuovi particolari, riempiendo man mano la memoria dei protagonisti di piccoli dettagli su cui ripassa pennellate continue, come a sottolineare che non si sfugge al passato e ai ricordi con cui prima o poi si deve fare i conti. La sua è una tecnica narrativa complessa e sofisticata. Le protagoniste si trovano nella peggior condizione possibile: sono donne sono nere sono schiave. Eppure possiedono una forza innata che le spinge a combattere sempre e comunque e a restare accanto le une alle altre. Così alla fine del romanzo sono le donne a correre in aiuto di Seth e a liberarla dai suoi fantasmi, esorcizzando Beloved. L’importanza della comunità e della solidarietà femminile sono determinanti. Un romanzo deflagrante perché distrugge tutti i capisaldi della nostra umanità, a cominciare dalla figura della madre. E che induce a riflettere sul Male senza limiti che l’Uomo può causare all’Uomo e che fa pronunciare parole dure all’autrice: “Al mondo la sfortuna non esiste, esiste solo l'uomo bianco”.